14 – Le determinanti del capitale sociale: analisi economica e verifica empirica a livello micro e macroeconomico

Introduzione
Il concetto di capitale sociale si è affermato, in ambito sociologico, a partire dalla fine degli anni ottanta grazie ai contributi di Pierre Bourdieu (1986) e James Coleman (1988, 1990). Nel corso degli anni novanta, la letteratura sul tema si è quindi rapidamente ampliata, e la nozione di capitale sociale ha trovato applicazione anche in campo economico. In letteratura sono presenti molteplici definizioni di capitale sociale, le quali, benché in alcuni casi appaiano sostanzialmente differenti, hanno tutte un elemento comune: il riferimento a una dimensione relazionale del concetto. Il capitale sociale, e ciò sembra essere opinione condivisa, si presenta come una risorsa fondata sull’esistenza di un qualche tipo di relazioni sociali. A partire da tale elemento comune, possono quindi essere individuati due approcci fondamentali rispetto ai quali i diversi autori hanno approfondito tale concetto.
Seguendo un approccio che definiremo “collettivistico”, il capitale sociale viene interpretato come un fattore definibile e operante a livello di comunità. Secondo questo approccio, l’analisi di tale variabile, in termini di origine ed effetti prodotti, deve essere condotta rispetto alla collettività nel suo complesso2. Un contributo che ha avuto un ruolo determinante nel contribuire a diffondere la nozione di capitale sociale in termini “collettivistici” è quello proposto dal sociologo Robert Putnam (1993). Putnam definisce il capitale sociale come “la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo” (Putnam, 1993, p.196).