28 – Responsabilità Sociale delle Imprese e “Democratic Stakeholding”

Introduzione
Indico subito l’argomento che svilupperò, sia pure in breve, nelle pagine seguenti. L’ampio e articolato dibattito in corso sulla responsabilità sociale dell’impresa (RSI), centrato come è sulla teoria degli stakeholders, è viziato da un’ambiguità di fondo: mai, salvo rare eccezioni, viene specificato a quale delle due versioni di tale teoria si intende fare riferimento: se alla versione “normativa” o a quella “strumentale” (Donaldson e Preston, 1995). Come noto, mentre nella versione normativa, gli obiettivi delle diverse classi di portatori di interesse costituiscono il fine stesso dell’azione dell’impresa, nella versione strumentale quegli obiettivi rappresentano un mezzo in vista della massimizzazione del valore per l’azionista, o più in generale, del profitto. Ne deriva che l’attuazione pratica dell’approccio normativo, qualora ciò riguardasse la generalità delle imprese – non fosse cioè confinata ad una minoranza profetica – condurrebbe al superamento della forma capitalistica di impresa, ovvero, di ogni forma di impresa nella quale i diritti residuali di controllo fossero affidati ad un’unica classe di stakeholder, quale che essa fosse. Non così, invece, qualora fosse l’approccio strumentale a prevalere nella pratica, dato che esso si riduce, come mostrerò, ad una mera estensione della teoria degli shareholder. Molto efficace per chiarire il punto in questione la posizione di Campbell quando scrive: “Sostengo la teoria degli stakeholder [nella versione strumentale] non per una qualche ragione di equità, o di principio, ma perché credo che essa sia fondamentale per comprendere come si riesca a fare soldi nel mondo degli affari” (1997,p.446).