La riforma del Terzo settore e delle imprese sociali: potenzialità e vincoli della nuova disciplina normativa

Short Paper di Alceste Santuari, Università di Bologna

La legge delega n. 106/2016 è intervenuta a novellare la disciplina generale delle organizzazioni non profit e a raccordare le leggi speciali le organizzazioni di volontariato (l. 266/1991), le cooperative sociali (l. 381/1991) e le associazioni di promozione sociale (l. 383/2000. In termini generali, le organizzazioni non profit hanno subito una vera e propria metamorfosi. Si tratta soprattutto della loro evoluzione in senso economico-imprenditoriale, sviluppo che ha condotto, per molte di queste organizzazioni, ad adottare la veste di vere e proprie “imprese sociali”, spesso operando quali unità di offerta di servizi alla persona.

La legge delega avrebbe potuto essere permeata da un intento – per così dire – eccessivamente regolatorio: in ragione delle diverse tipologie giuridico-organizzative, la Riforma del terzo settore avrebbe potuto definire griglie interpretative e tassonomiche rigide e vincolanti per le attività delle organizzazioni non lucrative. Al contrario, la l. n. 106/2016 ha inteso introdurre un set di disposizioni che, in primis, sembrano ispirate al principio di riconoscere ciò che si muove nella società civile e tende a coordinarne e potenziarne gli sforzi, alla stregua di quanto accadde nel 1862 con la Grande Legge sulle Opere Pie, antesignane dei moderni Enti del Terzo settore (ETS).

Si apre, indubbiamente, una stagione di novità interessanti per l’universo non profit e per le imprese sociali che richiederanno momenti di approfondimento e di analisi attenta per implementare una riforma che potrà avere un impatto significativo sia sul sistema di welfare in senso lato inteso e sui tanti ambiti di intervento a favore delle persone più vulnerabili, senza tralasciare l’attenzione alla trasparenza e ai rapporti con la P.A.