L’impatto dell’interpretazione della giurisprudenza amministrativa sul processo di sviluppo della co-progettazione

Alceste Santuari, Università di Bologna

Introduzione

Gli artt. 2[1] e 118 della Costituzione delineano il collegamento tra il del pluralismo sociale e il principio di sussidiarietà[2]: i corpi intermedi o enti del terzo settore, espressioni della società civile, sono chiamati a partecipare attivamente e, quindi, direttamente, ai e nei processi decisionali e programmatori delle pubbliche amministrazioni al fine di perseguire e conseguire finalità di interesse generale.

Il principio di solidarietà e quello di sussidiarietà definiscono, pertanto, un nuovo paradigma di relazioni tra pubbliche amministrazioni e soggetti privati non lucrativi, caratterizzate da una dimensione cooperativa e collaborativa,[3] che esclude l’applicazione delle regole di mercato, che, al contrario, identificano i rapporti giuridici sinallagmatici a prestazioni corrispettive.[4]

Il nuovo paradigma di amministrazione condivisa è stato sancito nell’art. 55 del Codice del Terzo settore, che ha disciplinato, in questo senso, i processi di co-programmazione, co-progettazione e accreditamento (libero) quali procedure alternative a quelle tradizionali di matrice concorrenziale.[5] Il d. lgs. 117/17) valorizza, in coerenza con il diritto europeo, da un lato, la responsabilità degli enti pubblici nelle dinamiche collaborative con gli enti non profit e, dall’altro, offre ai medesimi enti pubblici una gamma di strumenti e di procedure, che richiedono, in talune situazioni, un’azione di coordinamento con altre disposizioni normative (cfr. per tutte quelle contenute nel Codice dei contratti pubblici).

Forse anche per la sua portata innovativa e di cesura rispetto alle tradizionali procedure amministrative invalse nell’azione degli enti pubblici, l’art. 55 è stato oggetto di specifica declinazione applicativa in una fonte secondaria di rango nazionale,[6] in un certo numero di legislazioni regionali,[7] nonché nelle disposizioni di rango regolamentare adottate dai singoli enti pubblici locali.[8]

L’art. 55 è stato altresì oggetto di una intensa attività interpretativa da parte dei giudici amministrativi, che, a seguito dell’approvazione del Codice del Terzo settore, in alcune occasioni, hanno confermato la legittimità degli istituti giuridici collaborativi in esso contenuti, mentre, in altre, ne hanno censurato, in toto ovvero in parte, l’applicazione.

Alla luce del contesto giuridico sopra richiamato, il paper che segue intende offrire un’analisi della recente giurisprudenza amministrativa, allo scopo di approfondire le differenze e la distanza “ontologica” tra istituti cooperativi e procedure di gara di natura competitiva. L’alternatività tra i diversi procedimenti dovrebbe poter contribuire a rendere più consapevoli pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore circa la necessità di individuare le procedure collaborative ovvero di affidamento dei servizi in ragione degli obiettivi specifici prefissati ovvero da conseguire.

[1] Sulla portata dell’art. 2 Cost., si veda, tra gli altri, S. Rodota’, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Bari, 2014, p. 67, dove l’A. identifica il precetto costituzionale quale “criterio ordinante dell’insieme delle relazioni tra i soggetti, assumendo il valore di un connotato della stessa cittadinanza, intesa come insieme delle prerogative della persona. Letto in un contesto che attribuisce un ruolo essenziale all’azione delle istituzioni della Repubblica, l’accento posto sulla solidarietà non qualifica soltanto un principio fondamentale, ma mette pure in rilievo come l’azione istituzionale non esaurisca l’insieme delle azioni socialmente necessarie, chiamando così ogni cittadino alla realizzazione del programma costituzionale”.

[2] Così recita l’art. 118, comma 4, Cost.: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.” In dottrina, si è sottolineato che la disposizione de qua non ha mancato di suscitare diversi e contrastanti interpretazioni: da una parte, quanti ne hanno svalutato la portata innovativa in quanto già ricavabile nel testo del 1948 e quanti sostengono che la stessa collocazione nel testo costituzionale determini l’impossibilità di considerare la disposizione alla stregua di un “principio di sistema”. Poiché esso è collocato nel Titolo V della Parte II della Costituzione, all’interno di un articolo riferito all’esigenza di razionalizzare l’allocazione delle funzioni amministrative, l’art. 118 u.c. non potrebbe assurgere a principio costitutivo di un modello di “Stato comunitario”. Dall’altra parte, invece, si registra la posizione di quanti, prescindendo dalla collocazione nel testo costituzionale ne rilevano la portata rivoluzionaria, tanto da fondare un nuovo paradigma pluralista e paritario” che sostituisce “quello bipolare e gerarchico tradizionale”. Così, P. Consorti, L. Gori, E. Rossi, Diritto del Terzo settore, Bologna, il Mulino, 2018, pp. 48-49.

[3] Sul rapporto tra enti locali e principio di sussidiarietà, vedi V. Tondi Della Mura, Sussidiarietà ed enti locali: le ragioni di un percorso innovativo, in www.federalismi.it, 20, 2007. Sempre sul tema, dello stesso A., si veda anche Della sussidiarietà orizzontale (occasionalmente) ritrovata: dalle linee guida dell’Anac al Codice del Terzo settore, in Rivista AIC, N°: 1/2018, 30 marzo 2018, in part. p. 7 ove l’A. segnala che il principio di sussidiarietà ha contribuito ad un’evoluzione dello Stato moderno nell’ambito del quale si riconosce “il diverso ruolo cui ora è chiamato il potere pubblico, così da esprimere un assetto sociale inteso non più in modo verticistico, ma nella pluralità di forme e contenuti che caratterizzano il tessuto comunitario; un assetto volto a ricondurre a sintesi la molteplicità delle istanze avanzate dall’insieme delle realtà, private e pubbliche, costituenti la “Repubblica”.

[4] La Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 131 del 2020) ha ribadito che l’art. 118, u.c. Cost. ha inteso valorizzare “l’originaria socialità dell’uomo”, superando “l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini» che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese.” In questo modo, secondo il Giudice delle Leggi, “si è identificato così un ambito di organizzazione delle «libertà sociali» (sentenze n. 185 del 2018 e n. 300 del 2003) non riconducibile né allo Stato, né al mercato, ma a quelle «forme di solidarietà» che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese «tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 309 del 2013).”.

[5] Queste ultime regolate nel d. lgs. n. 50/2016, recante “Codice dei Contratti pubblici”.

[6] Il riferimento è al decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali n. 72 del 31 marzo 2021, recante “linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore negli articoli 55 -57 del decreto legislativo n. 117 del 2017”

[7] Si veda, per esempio, la l.r. Toscana 22 luglio 2020, n. 65, recante “Norme di sostegno e promozione degli enti del Terzo settore toscano”, il cui art. 9, comma 1, sulla falsariga di quanto disposto nell’art. 118 u.c. Cost. dispone che gli enti pubblici “assicurano il coinvolgimento” degli enti non lucrativi, confermando che la collaborazione di questi ultimi non è tanto un’opzione, quanto, al contrario, la modalità ordinaria di partnership tra enti pubblici ed enti del terzo settore. Al riguardo, è interessante segnalare che la legge, nella logica di definire interventi e azioni che sappiano essere organici e funzionali alle politiche pubbliche, attribuisce alle P.A. procedenti il compito di coinvolgere, oltre ai soggetti non profit, anche altre P.A., coerentemente con altri strumenti programmatori condivisi, quali il piano di inclusione zonale e il piano integrato della salute.

[8] Si vedano, per esempio, le linee guida in materia di co-progettazione adottate dalla giunta del Comune di Bologna nel mese di febbraio 2021 (cfr. http://atti9.comune.bologna.it/atti/wpub_delibere.nsf/$$OpenDominoDocument.xsp?documentId=87A0B3A934B0A74CC12586880010C94D&action=openDocument) che dovrebbero confluire nei prossimi mesi in un regolamento comunale, successivamente all’approvazione di alcune modifiche allo Statuto comunale, finalizzate ad accogliere i processi di co-programmazione e co-progettazione quale “cifra” distintiva dell’azione dell’amministrazione civica nei confronti dei corpi intermedi del territorio cittadino.