Meritocrazia e meritorietà

Introdotto per primo dal sociologo inglese Michael Young nel 1958, il concetto di meritocrazia (M) è andato via via crescendo di rilevanza nel dibattito pubblico sia di politica sia di economia. Il termine M. è l’unione del latino merere, mereor (guadagnare, farsi pagare) e del greco kratos (potere). M. è dunque, letteralmente, il potere del merito, cioè il principio di organizzazione sociale che fonda ogni forma di promozione e di assegnazione di potere escl usivamente sul merito. Quest’ultimo è definito da Young secondo la ormai ben nota formula: m= IQ + E, dove m sta per merito, IQ per quoziente di intelligenza, E per sforzo.

Il merito è dunque la risultante di due componenti: il talento che ciascuno ottiene dalla lotteria naturale e l’impegno profuso dal soggetto nello svolgimento di attività o mansioni varie. Nelle versioni più raffinate, la nozione di talento tiene conto delle condizioni di contesto, dal momento che il quoziente di intelligenza dipende anche dall’educazione ricevuta e da fattori socio-ambientali.

Del pari, la nozione di sforzo viene qualificata in relazione alla matrice culturale della società in cui cresce e opera l’individuo, e ciò perché l’impegno dipende oltre che dai “sentimenti moral i”, anche dal riconoscimento sociale, cioè da quello che la società reputa di dover giudicare meritorio e da quello che Adam Smith chiamava la “simpatetica corrispondenza” tra i partner sociali. Invero, è un fatto a tutti noto che la medesima abilità personale e il medesimo sforzo vengono valutati diversamente a seconda del prevalente ethos pubblico.