
Parte il progetto di ricerca “Il valore pubblico delle comunità intraprendenti”
24 Giugno 2025Di Paolo Venturi, direttore AICCON
Il contributo nasce dall’intervento di Paolo Venturi in occasione del primo talk di Road to Social Change.
Col passare del tempo, la “S” della sostenibilità – quella che rappresenta la dimensione sociale nell’acronimo ESG – assume sempre più il ruolo di elemento distintivo nella definizione del valore. Se fino a ieri era considerata l’anello debole della catena, oggi emerge come vero e proprio “codice sorgente” della competitività. Non è solo una questione di giustizia sociale o di etica, ma di strategia economica.
Infatti, se si passa dalla forma alla sostanza, la “S” racchiude dimensioni centrali per la performance d’impresa: qualità del lavoro, relazioni interne ed esterne alla filiera, salute e sicurezza, retribuzioni eque, parità di genere, rapporto con la comunità, accesso alla casa. Tutti elementi che oggi non possono più essere considerati “esternalità”, ma fattori costitutivi del fare impresa.
Dalla razionalità economica alla razionalità sociale
Per troppo tempo il pensiero economico dominante ha associato la competitività esclusivamente alla razionalità economica, misurata in termini di efficienza, profitti e produttività. Ma questa visione si è rivelata miope.
Il valore di un’impresa non si esaurisce nel flusso economico generato dalla produzione, ma dipende sempre più da una pluralità di attori, da legami intangibili e da risorse relazionali, spesso invisibili ma decisive.
Il valore nasce dall’interdipendenza. Una razionalità più autentica, quindi, è quella sociale: quella che, pur perseguendo obiettivi economici, è capace di incorporare anche la generazione di valore sociale. La sostenibilità non è un vincolo, ma un motore. Non un costo, ma un investimento.
Come diceva Giacomo Becattini, la competizione è – o dovrebbe essere – un fatto sociale: cum-petere, competere insieme. Quando la competizione rompe i legami sociali – come avviene in presenza di monopoli, oligopoli o gentrificazione – distrugge il mercato stesso, così come l’autoritarismo distrugge la democrazia.
La sostenibilità integrale come nuovo modello di business
Ecco perché oggi parlare di sostenibilità integrale significa andare oltre la semplice aderenza ai criteri ESG. Significa adottare un modello di creazione del valore basato sull’interdipendenza tra dimensione economica, sociale e ambientale. Un modello che non si limita a rendicontare gli impatti, ma li assume come criteri guida per le strategie, le leadership e i processi.
La sostenibilità integrale produce coesione, e – come certifica un recente rapporto di Fondazione Symbola – la coesione, a sua volta, alimenta la competitività. È un circolo virtuoso: dove c’è fiducia, legami e partecipazione, c’è anche innovazione, resilienza e attrattività.
Le implicazioni di questo approccio sono radicali. Significa non solo integrare il sociale e l’ambientale nei bilanci aziendali, ma riconoscerli come forze trasformative. Sostenibilità e innovazione diventano sinonimi. E l’innovazione, oggi, deve includere ambiti spesso esclusi dai radar tradizionali, come il welfare e la qualità della vita nei territori.
Il territorio come costruzione sociale e leva competitiva
L’impresa contemporanea è chiamata a essere soggetto attivo nella costruzione dei territori. Come dicevano Becattini e Magnaghi, il territorio si fa o si disfa. E oggi rischia di disfarsi, se non si affrontano in modo sistemico alcune fragilità strutturali.
Basti pensare alla questione abitativa:
- l’edilizia pubblica in Italia rappresenta solo il 4% del totale, contro il 9% della media europea;
- l’offerta di housing sociale è insufficiente, soprattutto per studenti, lavoratori e categorie fragili;
- i processi di gentrificazione allontanano le persone dalle città e svuotano i quartieri.
Problemi una volta etichettati come “di welfare” oggi diventano veri e propri vincoli alla crescita. Se non entrano nella catena del valore, rischiano di comprometterne le fondamenta. La disponibilità di alloggi accessibili, ad esempio, non è solo una questione sociale: è una condizione per attrarre e trattenere talenti, per garantire mobilità sociale, per alimentare l’economia locale.
Verso un nuovo management della sostenibilità
Leggere l’ESG score come un indicatore di minore rischio è un passo utile, ma non sufficiente. Il punto non è solo ridurre i rischi, ma aumentare la propensione all’innovazione. E in questo, la sostenibilità è la chiave. Così come la transizione digitale. Le due transizioni – quella ecologica e quella digitale – non sono parallele ma intrecciate. Non c’è sostenibilità senza digitale, e non c’è innovazione digitale che non affronti anche il rischio di nuove disuguaglianze.
Tutto ciò richiede un nuovo management. Se cambia la catena del valore, deve cambiare anche la cultura manageriale. Non si tratta di tornare indietro, ma di riattivare un’idea autentica di impresa. Un’idea che ha radici profonde nel nostro Paese: dalla Firenze del Rinascimento all’esperienza olivettiana, fino alla cooperazione sociale.
La sostenibilità integrale, dunque, non è un’aggiunta. È un cambio di paradigma. È il futuro del fare impresa
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