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Intervento di Paolo Venturi al Festival Valore Pubblico rivolto agli studenti dell’Università degli Studi Milano Bicocca.
Quando pensiamo al valore spesso lo associamo a concetti come scarsità, domanda e offerta. Se qualcosa è raro e desiderato, allora “vale”. È un concetto che seguiamo in ogni ambito, dall’economia ai beni di consumo.
Pensiamo all’idraulico bravo: oggi è difficile trovarne uno, quindi il suo valore cresce. L’iPhone è un altro esempio: ambito e ricercato, quindi ha un valore economico indiscutibile.
Ma cosa succede quando il valore non può essere ridotto a una cifra?
Quando non è il prodotto, ma il significato che gli diamo a determinare il suo valore?
Prendiamo ad esempio il figlio di un mio amico, appassionato della Prima Guerra Mondiale. Per lui, trovare un bossolo arrugginito in un campo vale più di qualunque oggetto costoso.
Il valore non sta nel materiale, ma nel senso che gli attribuisce. È in questo spazio che si gioca la domanda fondamentale: quanto vale l’amicizia? Quanto vale una vita?
Quando entriamo in queste dimensioni, ci accorgiamo che non basta la logica del prezzo, della scarsità o della domanda. Il valore, in questi casi, dipende dal significato che attribuiamo alle cose e dall’uso che ne facciamo.
Nel mondo del non profit, il valore non è separato dal senso. Aristotele ci insegnava che non tutte le attività sono opere: le vere opere sono quelle orientate verso un fine superiore, che vanno oltre la semplice esecuzione.
Le organizzazioni non profit nascono con questo scopo: non per l’utilità di pochi, non solo per “fare servizi”, ma per generare senso, per rispondere a un interesse collettivo, per mantenere insieme comunità, relazioni, possibilità. Sono beni indispensabili, perché ci ricordano chi siamo quando togliamo il prezzo dalle cose e lasciamo emergere la loro importanza.
E quindi, la domanda da porsi non è più: quanto costa il non profit? Ma piuttosto: quanto vale il mondo che rischieremmo di perdere senza il non profit?
In Italia, questo mondo è composto da circa 368.000 organizzazioni, quasi 6 milioni di volontari e oltre un milione di lavoratori, con un impatto che muove oltre 90 miliardi di euro in entrate e uscite. Eppure, il valore del non profit non risiede solo nel bilancio economico. Se il valore fosse solo la differenza tra entrate e uscite, il non profit non avrebbe alcun senso.
Il vero valore risiede nel suo impatto sociale, relazionale e trasformativo. Nel linguaggio che usiamo quotidianamente, diciamo “non profit” e non “no profit“. E non si tratta solo di una scelta linguistica, ma di un vero e proprio concetto che cambia il modo in cui vediamo l’economia. Il non profit non nasce per “non fare profitto“, ma perché il profitto non è il suo fine. Non nasce per accumulare ricchezze, ma per orientare l’agire verso un bene collettivo.
È un’economia che non rinuncia alla sostenibilità, ma la indirizza verso uno scopo più grande: quello di migliorare le persone e le comunità. Le associazioni, le fondazioni, le imprese sociali, le cooperative sono la linfa vitale di un’Italia che ogni giorno tiene insieme ciò che altrimenti rischierebbe di disgregarsi: cultura, salute, educazione, ambiente, diritti, comunità.
Viviamo in un’epoca in cui ogni cosa è misurata in termini di profitto: più produzione, più consumi, più utili. Tuttavia, anche gli imprenditori più lucidi sanno che questo non basta.
Ecco perché sono nate le Società Benefit, le certificazioni ESG e la ricerca di una sostenibilità che non si limiti al lato economico, ma che abbracci anche la dimensione sociale e ambientale. Perché il reale, alla fine dei conti, è sociale.
Non esiste valore senza relazione e non esiste progresso senza legame. Il non profit incarna questa verità elementare: è l’infrastruttura invisibile che tiene insieme i pezzi di una società. Costruisce reti dove il mercato non arriva e dove lo Stato, da solo, non basta.
È una forma di valore che non si misura in utile, ma in impatto; non produce solo ricchezza, ma soprattutto significato. Qui risiede la differenza tra crescita e sviluppo. La crescita riguarda la quantità: più produzione, più consumi, più utili. Lo sviluppo riguarda la qualità: più relazioni, più libertà, più consapevolezza.
Il non profit ci ricorda che non tutto ciò che conta si può contare e che il valore vero non si misura solo in entrate, ma anche e soprattutto in ciò che esce: servizi, relazioni, opportunità, fiducia.
Dentro il non profit lavorano persone che, con stipendi spesso bassi ma motivazioni altissime, tengono in piedi il Paese, specialmente nei luoghi difficili. Sono milioni di volontari che ogni giorno costruiscono capitale sociale, creano appartenenza, danno senso. Questo è un valore eccedente, che non entra nel PIL, ma senza il quale il PIL stesso non avrebbe basi. Ma c’è una differenza ancora più profonda, quella tra utilità e felicità. L’utilità è ciò che serve a me, la felicità è ciò che costruiamo insieme. L’utilità si può ottenere da soli, la felicità no. La felicità richiede almeno due persone, un incontro, un legame. Il Terzo Settore è il luogo in cui questa differenza diventa reale. È lo spazio in cui l’economia incontra l’etica e il lavoro incontra il senso. È il posto in cui non si lavora solo per qualcosa, ma per qualcuno.
Il futuro del non profit dipende dalle nuove generazioni, che non devono limitarsi a conservare questo modello, ma devono rinnovarlo. Non c’è bisogno di “guardiani delle ceneri”, ma di “custodi del fuoco”. Abbiamo bisogno di giovani che mettano in gioco il proprio talento, che portino innovazione, creatività e visione. Giocarsi il proprio talento nel Terzo Settore, nell’impresa sociale, nel mondo della cooperazione, non è una scelta minore. È una scelta di valore. È una scommessa sul futuro, un modo per restituire senso all’economia e dignità al lavoro. Il futuro non si costruisce con la competizione, ma con la cooperazione. Non con la paura di perdere, ma con il desiderio di appartenere. Il mondo del non profit non è un “settore terzo”, è il primo laboratorio di futuro che abbiamo. È il luogo in cui si può ancora credere che valore e senso siano finalmente la stessa cosa.




