
Il Terzo Settore cerchi desideri
19 Settembre 2025Di Paolo Venturi, Direttore AICCON Research Center
L’estate non è solo una pausa: è il momento in cui si possono osservare le cose con lucidità e scegliere la direzione. Anche il Terzo settore ha bisogno di questo sguardo, capace di trasformare la transizione in corso in un vero cambiamento.
Cinque sfide si impongono con urgenza e non possono più attendere.
La prima è l’unità nella diversità. Con quasi 360 mila organizzazioni, di cui oltre 135 mila già iscritte al Registro Unico, il Terzo settore è un pilastro del Paese. Dal 2026 la riforma chiarirà i confini anche sul piano fiscale, ma non sarà la norma a costruire coesione. La vera sfida è non frantumarsi: riconoscere un’identità comune, fondata su beni relazionali e interesse generale, evitando logiche corporative. Solo così la moltitudine può diventare movimento generativo e incidere davvero sulla società.
La seconda riguarda il welfare. L’Italia spende quasi il 30% del PIL in protezione sociale, ma gran parte delle risorse va a previdenza e sanità, lasciando scoperte nuove povertà, abitare, servizi educativi e domiciliarità. Il Terzo settore non può limitarsi al ruolo di prossimità: deve diventare motore di innovazione sociale. L’amministrazione condivisa non può ridursi a pratica burocratica: deve essere piattaforma politica e trasformativa. I fondi del PNRR hanno aperto spazi, ma ciò che serve sono luoghi, infrastrutture sociali stabili e un welfare territoriale fondato su alleanze solide e inclusive.
La terza sfida è l’economia sociale. L’Europa l’ha riconosciuta come infrastruttura di sviluppo, ma in Italia non può ridursi alla definizione di un perimetro economico da incentivare. Il piano in elaborazione al MEF deve farne una leva strategica per rigenerare città e territori, superando la vecchia dicotomia Stato-mercato e rilanciando il fattore comunitario nelle sfide del nostro tempo.
La quarta è la partecipazione. Astensionismo e sfiducia minano la democrazia. Il Terzo settore può riattivare la voglia di esserci, non imbrigliando le nuove forme di impegno, ma accompagnandole e valorizzandole. Non basta offrire servizi: servono spazi di cittadinanza attiva, processi deliberativi, pensiero critico. La partecipazione non è consumo, ma responsabilità condivisa.
Infine, la quinta sfida: disuguaglianze e democrazia. I divari sociali, territoriali e generazionali non sono più effetti collaterali, ma elementi strutturali. Il Terzo settore deve farsi custode dei beni comuni e dei processi democratici, non solo promotore di socialità. Difendere giustizia sociale e futuro dignitoso significa rafforzare la democrazia stessa.
Queste cinque sfide non sono un’agenda opzionale: sono la condizione per trasformare l’attuale transizione in un cambio di paradigma.
Il bivio è chiaro: limitarsi a essere ammortizzatore sociale o diventare motore di rinnovamento civile.
Articolo pubblicato su Corriere della Sera – Buone Notizie il 2 settembre 2025.