L’anno che verrà
12 Gennaio 2023Digitale ed economia sociale: come ridisegnare nuove catene del valore?
9 Marzo 2023
Articolo di Serena Miccolis e Andrea Baldazzini
Sempre di più il welfare di comunità racconta di un vero e proprio cambio di paradigma tanto nei modi di rispondere ai bisogni sociali, quanto in quelli di generare valore e di ridisegnare le policy locali. Inoltre, oggi esso racconta della presa di consapevolezza di un cambiamento profondo inerente la natura delle sfide sociali che caratterizzano la contemporaneità. Sfide che delineano scenari inediti e che si caratterizzano in primis per avere un carattere sistemico, cioè fortemente intersettoriale e multidimensionale, che toccano interi territori, e per questo richiedono risposte altrettanto sistemiche.
Parlare di welfare di comunità, vuol dire dunque parlare delle modalità attraverso cui una pluralità di soggetti di natura diversa si uniscono per costruire reti ed ecosistemi in grado di mettere in campo un insieme di azioni ad ampio raggio che guardano ai territori nella loro complessità. L’obiettivo non è solo svolgere una funzione riparativa nei confronti dei fallimenti di Stato e mercato, ma anche agire una funzione trasformativa che punti a cambiare le condizioni a monte delle processualità sistemiche grazie a strategie di azione collettiva.
In relazione a ciò, nell’ultimo decennio un ruolo fondamentale l’ha avuto il paradigma dell’innovazione sociale, in quanto ha rappresentato un riferimento sia culturale sia metodologico rispetto a come organizzare e governare il cambiamento permettendo di inventare e sperimentare risposte alternative ai bisogni emergenti. Oggi, e ancora di più nel prossimo futuro, la partita dell’innovazione non può però prescindere da uno stretto legame con il tema dell’impatto nella sua duplice veste: da un lato quella di promuovere un approccio “impact oriented” per le organizzazioni, cioè un approccio dove l’elemento dell’impatto diventa uno dei cardini attorno a quale disegnare le strategie operative e di sviluppo della propria organizzazione lavorando già in fase ex ante in termini di progettazione e investimento e non solo ex post guidata da una logica meramente rendicontativa e per nulla trasformativa. Dall’altro lato nella veste della capacità di acquisire competenze interne e un flusso operativo in grado di costruire strumenti e indicatori per la misurazione del cambiamento generato (e non solo per la rendicontazione della realizzazione delle attività) coerenti e rilevanti alla propria azione e agli obiettivi trasformativi che ci si pone, quale modalità per l’innovazione delle catene del valore generato sia sul fronte economico che sociale, ambientale e antropologico secondo un’ottica di sostenibillità integrale.
Questa visione sul tema dell’impatto e della sua valutazione è critica rispetto alla diffusione di pratiche di VIS che concentrano l’attenzione (e il valore del percorso stesso) nell’adozione di piattaforme e algoritmi chiavi in mano e nell’utilizzo di metriche standardizzate sintetizzate in report di impatto pre-impostati. Questi percorsi difficilmente possono capacitare le realtà coinvolte portandole a prendere consapevolezza del valore generato e dei processi sottostanti a questa produzione – da rendere conto a rendersi conto e dare valore; in questo senso il focus è da porsi sulla rilevanza strategica del lavorare sulla maturazione di una cultura dell’impatto all’interno delle organizzazioni.
A confermare tali ipotesi sono le stesse realtà che quotidianamente operano sui territori, e un caso particolare è rappresentato dall’iniziativa promossa dal Consorzio SIR il quale ha scelto di avviare un progetto volto a unire welfare di comunità e valutazione d’impatto sociale (VIS). Grazie alle risorse messe a disposizione dall’Avviso 48 di Foncoop, è stato intrapreso un percorso con quattro Enti del Terzo settore dell’area Nord Milano – 3 cooperative sociali Il Grappolo, Serena, Intrecci e un consorzio Cooperho – che mira da un lato a definire metodologie e strumenti utili ad orientare e valutare l’impatto sociale generato dalle attività e dai servizi di welfare comunitario realizzate dalle cooperative selezionate; dall’altro a coinvolgere e ‘capacitare’ le risorse umane delle quattro organizzazioni partecipanti.
Dal punto di vista del rapporto tra progettazione sociale, execution e valutazione, il focus sull’impatto ha spinto le cooperative a ragionare su prospettive di lungo periodo affrontando in maniera differente la dialettica tra tempistiche dei bandi e tempistiche di cambiamento delle comunità. Come ha raccontato Serena Mantovani (coop. soc. Il Grappolo) al termine della prima parte del percorso: «il ragionare secondo una visione di impatto ci ha aiutato molto a definire con precisione quali fossero le priorità dell’attività che stavamo avviando sul territorio. Anche successivamente in occasione della scrittura di un nuovo progetto abbiamo fatto nostro l’approccio sperimentato utilizzando l’impatto come bussola per la sua scrittura e quindi senza inserirlo come sinonimo di formula rendicontativa solo al termine dell’ideazione, ma valorizzandolo fin da subito».
L’obiettivo della prima azione è stato infatti quello di definire in primis un framework condiviso per la valutazione d’impatto, per poi arrivare all’individuazione di un set di indicatori quali-quantitativi utili ad analizzare il valore generato dalle azioni di welfare comunitario. Lo sforzo è stato quello di tenere insieme, tanto a livello di framework, che di metriche, il contributo comune e trasversale che caratterizzava in maniera condivisa le azioni con quello specifico e originale dei diversi interventi a partire dalle loro peculiarità. Trattandosi di welfare di comunità, lo sguardo non può limitarsi a quello della propria singola organizzazione, ma è necessario far emergere l’importanza della presenza di una pluralità di soggetti (persone e organizzazioni) che, attraverso il loro contributo e la loro azione, agiscono e trasformano persone e contesti e, così facendo, concorrono a generare cambiamento nelle condizioni di quest’ultimi. La trasformazione agita dall’organizzazione, infatti, sarebbe assente o ‘diversa’ rispetto a quella osservata (ed eventualmente valutata) in termini di ampiezza e profondità, se non ci fosse l’interazione con altri soggetti.
Assumere una prospettiva in questo senso ecologica alla generazione di impatto obbliga nella fase di valutazione a sposare una visione ecosistemico-contributiva in grado di riconoscere e valorizzare l’interdipendenza tra soggetti (persone e organizzazioni) e l’apporto trasformativo dei singoli interventi e della loro integrazione. Questo ‘ecosistema relazionale’, oltre ad essere caratterizzato dall’intensità della relazione, spesso si distingue per la capacità di mettere a disposizione delle attività un’eterogeneità di risorse di varia natura – monetarie e non monetarie (es. capitale umane, risorse tangibili e intangibili). In questo senso quindi possiamo parlare di un vero e proprio ecosistema di assetholder, ovvero di un insieme di soggetti portatori di risorse e non solo di interessi (stakeholder) e bisogni (destinatari diretti), in cui (e con cui) generare, condividere e misurare il valore.
Ecco che anche qui emerge una prospettiva che potremmo definire sistemica e che riprende quanto accennato all’inizio. In questo senso la presenza di due consorzi all’interno del percorso è rappresentativa della centralità del ruolo che questo tipo di organizzazioni svolgono e potranno svolgere nel rispondere alle sfide territoriali promuovendo la capacità trasformativa delle organizzazioni e quindi l’orientamento all’impatto e la VIS quali leve strategiche per il perseguimento dell’interesse generale.
La rilevanza dell’orientamento all’impatto e un primo confronto con la costruzione di un framework di valutazione, ha infine fatto emergere un’altra consapevolezza, ovvero che l’impatto rappresenta il punto di convergenza per il lavoro di una pluralità di soggetti differenti. Come ha raccontato Giovanni Caimi (coop. soc. Intrecci) «ritengo sia utile iniziare a parlare di impatto anche con altri soggetti con cui già collaboriamo perchè può facilitare molto la costruzione di percorsi di co-progettazione che spesso naufragano proprio perchè manca una chiara condivisione degli scopi e priorità comuni».
Ancora una volta dunque, la sfida principale è di natura culturale, per un ulteriore crescita e autocoscienza delle organizzazioni le quali, proprio perchè costantemente affaticate dalla gestione del quotidiano e messe alla prova dall’accadere di crisi cicliche, sono alla continua ricerca di riferimenti, strumenti e risorse per rendere il cambiamento non un ulteriore acceleratore di disuguaglianze, quanto piuttosto un’occasione per il miglioramento della vita delle collettività in un’ottica di sostenibilità di lungo periodo.