
Rinsaldare il pilastro sociale. La via del coprogrammare cominci con il dopo alluvione
23 Giugno 2023Di Paolo Venturi, direttore AICCON
Di impatto si parla ovunque. Se ne scrive nei bilanci, nei bandi, nei report ESG. Se ne celebrano gli effetti moltiplicatori, si quantificano i ritorni sociali per ogni euro investito, si confezionano KPI per stakeholder e investitori. Ma qualcosa, nel vento che una volta spirava dalla frontiera della trasformazione sociale, sembra essersi incrinato.
Oggi, mentre la parola “impatto” viene ingabbiata dentro cruscotti digitali, dashboard sofisticate e benchmark usa-e-getta, il rischio concreto è che si svuoti di significato. E che il pensiero dell’impatto – nato come ambizione trasformativa – si riduca a funzione di calcolo.
Non è una critica alla tecnologia, né agli algoritmi… tutt’altro, abbiamo bisogno di dati e intelligenze capaci di elaborarli al massimo del potenziale. Il mio vuole essere un campanello d’allarme contro una cultura della misurazione che spesso precede (e talvolta sostituisce) la strategia. È di questo che vorrei riflettere.
Dall’intenzionalità dichiarata alla trasformazione condivisa
Le fondamenta del concetto di impatto – intenzionalità, addizionalità, misurabilità – sono diventate slogan.
L’intenzionalità, per esempio, non può essere solo una dichiarazione ex ante da inserire nei documenti strategici, ma deve diventare un orientamento incorporato, osservabile nella struttura delle preferenze. Deve poter dire: “Ciò che vogliamo fare è desiderabile e riconoscibile nei comportamenti e negli scopi che perseguiamo concretamente?” .
E l’addizionalità? Non è un’attività in più, né una nicchia di fallimenti di Stato e mercato da sanare. È un’azione trasformativa che incide sulle regole del gioco, che agisce non nei vuoti dello Stato o del mercato, ma nel cuore vivo degli ecosistemi, rimodulando rapporti di potere e disegnando nuove infrastrutture. I progetti addizionali sono quelli che diventano istituzioni: non solo azioni, ma asset comuni.
Il tema più spinoso resta comunque, la misurazione. Serve, certo. Ma cosa stiamo davvero misurando? E per chi? Se la valutazione di impatto si riduce a una contabilità soggettiva, a formule che raccontano “che con 1 euro investito se ne generano 7”, abbiamo perso il senso della posta in gioco. Inseguire numeri perfetti rischia di produrre azioni perfettamente inefficaci.
C’è un paradosso tragico che dobbiamo evitare: più misuriamo, meno trasformiamo. Perché nel tentativo di mantenere intatta la narrativa del “più impatto possibile”, si evitano azioni che possono fallire, generare conflitto, disturbare l’ordine. E quindi si finisce per potenziare le cause dei problemi, pur dichiarando di combatterli.
Queste metriche, in molti casi, stanno all’impatto come il fantacalcio sta al calcio: affascinanti, sofisticate, ma disancorate dal terreno di gioco. I cittadini? Rimangono spettatori, non attori. Vengono ingaggiati per fornire dati, non per costruire valore.
L’impatto non è un’opzione tecnica
L’impatto non è un’opzione tecnica, è una scelta politica. Serve riportarlo dentro le intenzioni, dentro le azioni, dentro le policy. Ma serve anche asciugarlo, riportarlo all’essenziale: un processo faticoso, a volte contraddittorio, sempre collettivo. Non basta dire “misuriamo l’impatto”. Bisogna agire sulle cause, altrimenti il rischio è produrre effetti secondari che legittimano il presente, senza incidere davvero sul futuro.
Come ricorda Zamagni, serve una visione integrale, che tenga insieme giustizia, sostenibilità, comunità.
Abbiamo bisogno di una nuova stagione dell’impatto. Una stagione che rimetta al centro il pensiero pensante, non solo il pensiero calcolante. Una stagione dove l’impatto non sia appena il vestito buono per attrarre fondi, ma la fatica quotidiana di cambiare ciò che genera disuguaglianza, precarietà, solitudine, esclusione.
Riapriamo il dibattito. Non lasciamo che l’impatto diventi l’ennesima moda della rendicontazione. Difendiamolo come spazio critico, strategico, trasformativo. Solo così potrà tornare ad essere ciò che è: un modo per cambiare davvero il mondo, non solo per raccontarlo meglio.
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Per saperne di più:
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