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La via per non rinunciare all’universalismo

 Articolo del prof. Stefano Zamagni, Università di Bologna – Presidente della Commissione Scientifica di AICCON

 

Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito, non solo in Italia ma in tutto il mondo, a due fenomeni concomitanti: l’aumento dell’aspettativa di vita (negli anni 50 nel nostro Paese era di 60 anni, oggi sfiora gli 85) e la diffusione delle malattie croniche.

Ciò significa che occorre ripensare i sistemi di welfare sanitario, perché si sta andando verso l’insostenibilità finanziaria del modello di sanità finora adottato.

Il Paese che in Europa è rimasto più a lungo ancorato al vecchio schema pubblico e universale è proprio l’Italia, perché altri Paesi, come la Gran Bretagna, che inventò il Servizio Sanitario Nazionale nel 1942, hanno imboccato da tempo la via della progressiva dismissione di intere linee di servizi sanitari ad altri soggetti, in particolare privati.

Si impone dunque un profondo ripensamento della sanità italiana, purtroppo non ancora affrontato seriamente a livello di dibattito pubblico, forse per non creare eccessivo allarme sociale; si procede quindi a piccoli passi, in modo da determinare un cambio di scenario senza rivolgimenti o grosse scosse. Tuttavia, se bisogna mantenere saldo il principio dell’universalità delle cure, per cui tutti i cittadini hanno diritto alla salute e all’accesso alla sanità, il modello da adottare dovrà essere plurale, aperto a una varietà di soggetti.

E accanto al pubblico bisognerà dare spazio alla sanità integrativa gestita dagli enti mutualistici, cioè non profit.

Ora, l’errore madornale che fanno in tanti è dividere gli operatori sanitari in pubblici e privati. Questo dualismo è sbagliato e fa danni, perché la sanità mutualistica è certamente privata dal punto di vista giuridico, ma è ben diversa da quella profit. Lo schema corretto è triadico, composto da pubblico, privato e civile. Un settore, quest’ultimo, che si muove con gli strumenti dei fondi sanitari, delle società di mutuo soccorso e delle casse di assistenza sanitaria, che appartengono al Terzo settore, non c’entrano nulla con le assicurazioni sanitarie private profit, e che a mio parere andrebbero sostenute con adeguati benefici fiscali. Così facendo non si privatizzerebbe la sanità, come molti paventano, ma si sosterrebbe una sanità integrativa che fa dei principi di mutualità e reciprocità le proprie linee guida; quindi una sanità davvero universale che garantisce a tutti il diritto fondamentale alla salute.

Fonte: Vita (maggio 2017)

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