Ambienti ibridi per l’innovazione delle non profit
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18 Settembre 2020Articolo di Paolo Venturi, Direttore AICCON, pubblicato su VITA.
Occorre uscire dal riduzionismo che relega l’impatto sociale nell’alveo delle metriche e delle technicality per addetti ai lavori. Occorre farlo in fretta perché il rischio è quello di rimbalzare indietro e non avanti come sarebbe necessario in questa fase di discontinuità. La posta in gioco non è infatti misurabile dall’ortodossia con cui le organizzazioni del Terzo Settore metteranno a terra la loro VIS (valutazione d’impatto sociale), ma quanto questa sarà in grado influenzare la l’essenza dell’agire, i modelli organizzativi e la relazione con il territorio. Un approccio radicale è quindi quello che recupera la radice (lo scopo) e il valore prodotto nella dimensione di luogo (l’essere radicati). Tratti questo iscritti nel DNA della definizione contenuta nelle Linee guida sull’impatto sociale che di fatto, definiscono l’impatto sociale come il cambiamento positivo prodotto dalle “attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all’obiettivo individuato”. La comunità diventa quindi il locus da capacitare, da potenziare su cui alimentare sviluppo. Assumendo una visione “impact oriented” potremmo dire che una impresa o organizzazione per dirsi “di comunità” non può limitarsi a “fare cose per” ma è necessario che espliciti la qualità di questa relazione, la sua intenzionalità, la sua pertinenza ed il grado di coinvolgimento. I soggetti comunitari non hanno infatti solo un fusto e dei rami, ma vanno riconosciuti per la loro capacità di produrre frutti (generatività) e per la profondità delle loro radici (legame e mutuo riconoscimento).
E’ proprio partendo da questa riflessione che emerge l’esigenza di un “Community Index®” in grado di osservare e valutare il reale peso e qualità della relazione tra l’organizzazione e la comunità di riferimento. L’obiettivo che intende favorire questa nuova prospettiva, su cui AICCON sta lavorando, è in linea con quanto sta emergendo a livello nazionale e internazionale, ed è quello di declinare l’impatto non appena osservando i cambiamenti attribuibili al progetto, ma indentificando il valore del “soggetto comunitario”. Per fare questo l’idea è quella di mettere a disposizione delle organizzazioni un cruscotto di indicatori utili a monitorare la propria missione comunitaria, elemento abilitante per la generazione (e valutazione) di impatto sociale, costruendo così una sorta di “termometro”, attraverso il quale pesare le organizzazioni in rapporto alla loro “meritorietà comunitaria”.
L’importanza di assumere come punto di vista quello della comunità di riferimento nella costruzione di strumenti e indicatori in grado di monitorare lo stato di avanzamento rispetto agli obiettivi prefissati è testimoniato anche dalla creazione del Community Wellbeing Index da parte di Co-op UK, Young Foundation e Geolytix, ovvero del primo set di indicatori di Benessere Comunitario disponibile a livello locale nel Regno Unito co-costruito insieme alle stesse comunità territoriali.
Scendendo nel dettaglio della nostra proposta (vedi Fig. 1), quattro sono le dimensioni dentro cui declinare la valutazione (attraverso appositi indicatori e soglie). La prima fa riferimento alla dimensione inclusiva ossia alla qualità del coinvolgimento della comunità (osservata attraverso l’intensità e l’ampiezza dell’engagement sviluppato e in termini di governance). La seconda prospettiva è quella trasformativa osservata nella capacità di generare impatto (cambiamento prodotto per i diversi stakeholder della comunità di riferimento). Attraverso la terza dimensione, quella identitaria, s’intende comprendere la capacità del soggetto di far emergere e comunicare il proprio valore originale e distintivo e la conseguente efficacia nel rendere noto questi elementi in termini di reputazione presso la comunità di riferimento. Infine l’ultimo ambito, su cui il Community Index® intende offrire una lettura, è quello relativo all’ecosistema in cui il soggetto è coinvolto; in questa dimensione si intende esplicitare, da un lato, la qualità delle reti in cui l’organizzazione è inserita e/o ha contribuito a costruire, dall’altro, il processo di territorializzazione. Una traiettoria questa che vuole essere “integrativa e contributiva” rispetto al patrimonio di metodologie e metriche già esistenti. In una fase in cui risorse significative (DL Rilancio, programmazione UE, concessione beni confiscati) si stanno spostando verso “le missioni” e non appena verso i “progetti” delle istituzioni che operano per un interesse generale, come ripete spesso Carlo Borgomeo, diventa indispensabile avere parametri capaci di investire sull’esistente, su ciò che la comunità ha già prodotto, dimostrando di essere utile e buono per lo sviluppo di tutti e non di pochi.
Fonte: www.vita.it