Make Your Impact 2024: al via la terza edizione
9 Dicembre 2024Articolo di Paolo Venturi, direttore AICCON
Nell’era della trasformazione digitale, la tecnologia ha profondamente rivoluzionato il nostro modo di vivere, lavorare e interagire. Tuttavia, è essenziale chiedersi: la tecnologia è davvero al servizio dell’uomo o stiamo sacrificando la dimensione umana sull’altare dell’efficienza e del profitto?
La nozione di “Tech for Human” invita a riconsiderare il rapporto tra tecnologia e società, superando la concezione degli strumenti come semplici mezzi per soddisfare bisogni, per abbracciare una visione in cui la tecnologia abiliti desideri e aspirazioni, orientati alla giustizia sociale e alla fioritura umana. Il passaggio da una visione tecnologica meramente funzionale a una trasformativa è cruciale, specialmente nel contesto sociale ed economico dove comunità e democrazia sono sempre più indebolite.
Il digitale, in questa epoca, non è solo uno strumento ma un nuovo “campo da gioco” dove l’interazione fra diverse istituzioni è in grado di alterare profondamente la distribuzione del potere e opportunità.
Aver visto gran parte della sharing economy trasformarsi in gig economy, ci testimonia come da una genesi iniziale incentrata su inclusione e comunità si possa passare velocemente a processi orientati all’estrazione e all’individualizzazione. Già nel 2001, Robert Putnam, con il suo celebre saggio Bowling Alone, aveva denunciato la progressiva desertificazione dei legami sociali. Gli eventi successivi, come la crisi del 2008 e l’ascesa delle piattaforme digitali, invece di contrastare questa tendenza hanno amplificato la patologia, costruendo reti senza legami, utili al consumo ma incapaci di generare nuove forme di comunità.
Questa evoluzione ha contribuito alla concentrazione della ricchezza e al consolidamento di una plutocrazia digitale, una minaccia crescente per la democrazia. La fragilità delle strutture democratiche cresce come ci mostra chiaramente il Democracy Index, che nel 2023 ha registrato un preoccupante declino globale.
Meno dell’8% della popolazione mondiale vive oggi in una democrazia completa, mentre quasi il 40% risiede in regimi autoritari o oligarchici, una quota che continua a crescere. Basato su 60 indicatori suddivisi in cinque categorie – processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica e libertà civili – l’indice rivela quanto la concentrazione del potere e delle risorse, accentuata da un’economia digitale diseguale, stia minando le fondamenta delle società. In questo scenario, la tecnologia, se non guidata da un’etica chiara e da una visione inclusiva, rischia di diventare uno strumento di polarizzazione anziché un mezzo per rafforzare il dialogo e la coesione sociale.
Per affrontare queste sfide, è indispensabile una postura culturale orientata allo sviluppo umano, che preceda e integri le competenze tecniche.
Un approccio che ha l’onere di tradurre l’innovazione digitale in prodotti, processi e istituzioni inclusive, capaci di rafforzare la partecipazione, il pluralismo e la resilienza delle comunità. Urge una prospettiva politica (non partitica) che fondi il “valore d’uso” del digitale. Come osservava Hannah Arendt infatti, “la politica non è semplicemente esercizio del potere, ma nasce nello spazio tra gli uomini, come relazione tra attori uguali e distinti”. Dentro questa prospettiva un ruolo decisivo può essere svolto dalle oltre 450.000 organizzazioni dell’economia sociale.
Il loro compito, in quest’epoca, non può limitarsi soltanto a rispondere a bisogni nelle forme già praticate, ma deve spingersi verso nuove forme di mutualismo capaci di adottare un mindset digitale che permei i servizi e i modelli organizzativi, abbracciando una visione più “agonistica” d’innovazione sociale.
La tecnologia può infatti potenziare i processi deliberativi, rendendo le comunità protagoniste. Solo un digitale che punta a promuovere il senso del lavoro, la giustizia sociale e la ricerca di una “vita buona” può davvero trasformarsi in un alleato della democrazia e della coesione sociale. Adriano Olivetti, figura emblematica dell’imprenditoria umanistica, affermava: “La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica.”
Sostituendo la parola “fabbrica” con “tecnologia”, la citazione diventa contemporanea e fa emerge con forza la necessità di umanizzare un sistema che diversamente rischia di disumanizzarsi: per avere non una società prospera non base produrre “beni di efficienza”, ma servono soprattutto “beni di eccellenza” ossia capaci di far progredire e umanizzare.
La sfida non è facile, ma va giocata con coraggio. In un mondo sempre più dominato dal potere di pochi, il “Tech for Human” non è solo una necessità, ma un orizzonte da perseguire per garantire giustizia e fioritura umana.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore (15 dicembre 2024)